Dolci colline rigate dall’opera dell’uomo e del tempo, nel
mese di agosto offrono scorci zebrati con chiazze di giallo vivo, nei quali i
paesini sulle alture vi si perdono e si mescolano, creando omogeneità del
paesaggio. Gli stessi custodiscono persone senza grandi novità, abituate
raramente a scorgere viandanti a loro interessati; vivono nei loro luoghi cari
senza allontanarsene, senza oramai avere altra destinazione.
Sulle creste dei pendii moti ventosi soffiano animando ogni
ramoscello, spargono per le lunghe e larghe vallate notizie e sospiri giunti da
luoghi lontani o antichi. Senso privilegiato è la vista, che può spaziare senza
fine rimanendo affascinata degli isolati alberi posti sui dolci pendii, dalle
geometriche sinusoidali delle tante gobbe dei terreni, dalle larghe V create
dai vari incontri prospettici delle linee di sommità.
Queste le mie prime impressioni di incontro e viaggio tra i
monti della Daunia. Ho già attraversato i paesini di Celenza Valfortore e Carlantino,
sostato presso la diga del lago di Occhito e seguito la valle del Fortore nel
suo tratto di discesa verso l’Adriatico, lì dove la campagna a prima mattina si
illumina a festa, sfoggiando il suo vestito migliore.
Viaggio verso Casalnuovo Monterotaro, di ritorno dalla
visita all’omonima torre. Davanti a me e sotto di me un incrocio di colori
appaiono tra le basse nuvole temporalesche, colorazioni ben delineate dai vari
confini degli appezzamenti agricoli. Sembrano quasi essere stati disegnati con
una matita da una mano precisa ed artistica. Alle mie spalle una masseria in
stato confusionale, come tante incrociate prima, con tanta roba posata intorno ad
essa alla rinfusa, dettaglio di una vita dedita alla provvisorietà, alla fatica
di tutti i giorni. E nell’aria portato dal vento e dalle recenti piogge,
l’odore pungente ed intenso delle cipolle tritate, fascino di una terra tutta
nuova per me.
Castelnuovo della Daunia, arrivo con il mal tempo. Piove.
Aspetto in auto che spiova. Rivedo le foto. Penso al lago di Occhito, dove ieri
notte ho pernottato, a quella grande quantità d’acqua che pesa sulle teste
degli abitanti del fondovalle. Chissà se li condiziona o gli influenza, sicuro
li affascina. Peccato per i forti limiti di avvicinamento alle sponde ben segnalati
da appositi cartelli. Altro spazio comune privato? Altro passaggio interdetto,
solo da vedere da lontano? Credo che qui tutti in fin dei conti chiudono un
occhio perché la bellezza non può essere chiusa in un cassetto.
Da Castelnuovo della Daunia il Tavoliere delle Puglie sotto
di me. Continuo ad osservare linee, spigoli, fazzoletti di terreno, strisce di
giallo, nero, verde scuro. Una miriade di geometrie tutte da formare, tutte da
scomporre.
Ed improvvisamente apparvero le pale, quelle eoliche. Sulla
strada per Pietramontecorvino, anche il libero vento perde la sua volatilità
per diventare funzione in un palcoscenico dove si contano più alberi di cemento
e plastica che sacre opere della natura. Avanzo tra questi spilungoni a tre
teste rotanti cercando nuove inquadratura per inglobare anche loro nel
paesaggio.
Visita di Pietramontecorvino. Centro storico interessante
come anche il castello. Forse anche troppo ristrutturato e pavimentato a nuovo.
Le cose antiche spesso sanno maggiormente quando sono lasciate all’anno della
loro costruzione, ma questa è solo una mia considerazione. Almeno oggi è
pienamente vivibile ed abitabile, ed infatti così è. Dal castello vista su una
torre che seppure lontana sembra gigantesca. Si erge su una collinetta fuori dal
paese dove le colline quasi terminano. Sembra la casa di qualche stregone. Mi
dicono che una volta l’anno ci vanno in processione dal paese. Salto in auto
alla sua conquista.
Fuga dalla torre. A circa 200 metri al suo arrivo nuvole
incombenti nere e tuonanti mi invitano a gran voce a mettermi quanto prima al
riparo, ripercorrendo a ritroso il sentiero fino giù all’auto. Qui le nuvole
viaggiano veloci senza attendere orari predestinati. Avvolgono tutto in breve
tempo. Celano alla vista gli orizzonti, aggiungono mistero. Addolciscono per un
giorno la vita del contadino, abituato all’intenso irraggiamento solare. A
giochi fatti (sotto un intenso diluvio) mi rifugio in un autogrill per sosta
panino. Bello stare al sicuro mentre fuori imperversa la bufera.
Monte Cornacchia è la prossima meta. Ci arrivo lungo la
strada da Biccari o quel che ne rimane. In effetti il cartello era chiaro:
strada chiusa. A peggiorare le cose ancora la pioggia battente. L’auto arranca
ma sale. Prima sosta al lago di Pescara, seconda al Belvedere appena oltre. Qui
finiscono le parole o da dirne ce ne sarebbero veramente tante. Mi trovo sopra
le nuvole, sembra di essere in cielo. Scatto delle foto che chi le vedrà
penserà di averle fatte dall’aereo. Ora c’è assoluta pace. Nessun rumore. Le
luci dei vari paesi che si dispiegano fin verso l’Adriatico danno cenno della
loro presenza. Noi ci siamo. Viviamo e perciò sorridiamo tramite una flebile
luce. In modo semplice, accorto e quasi con permesso. Piccoli puntini
raggruppati a farsi compagnia, a tenersi stretti. A portare finalmente il
sereno per essere scorti ed augurare la buonanotte.
Ennesima fuga dalla montagna. La nebbia del monte Cornacchia
mi impedisce l’attesa salita all’alba in vetta. Mi rifugio in paese dopo aver
però apprezzato l’incanto del bosco. Roseto Valfortore mi attende. Sosta bar
per ambientarmi, per entrare in simbiosi con il contesto locale, per respirare
a ritmo paesano. Zona centrale, passaggi mattutini, sotto gli occhi degli
arzilli saggi seduti a fil di strada. Odore di mercato settimanale. Qualche
emigrante in ritorno estivo al paese caro, è la macchina fotografica a
tradirli. Eleganti donzelle in transito qui spiccano per i loro vestiti
appariscenti ancor più che in città forse per lo stretto contrasto con lo scenario
antico del luogo. Dialetti e voci di accenti pugliesi passano velocemente senza
fermarsi. Il mercante borbotta sul pesce scarso. Intanto il cappuccini è
finito, decido di fare quattro passi per il paese.
Escursione veloce ma intensa al monte Pagliarone. Mi trovo
circondato da pale eoliche che scandiscono un ritmo costante, inesorabile. Mi
sanno tanto di bersaglieri. Dritti, impettiti, a guardia e sorveglianza delle
vallate sottostanti. Miriadi di mosche mi inseguono interessate a questo strano
essere. Un vento fresco mi accoglie al raggiungimento della cresta. Vento che
non riesco a capire se creato stesso dalle pale eoliche oppure energia naturale
assestante. Fatto sta che l’orizzonte qui è unico e la vista e la coscienza
trova di che spaziare. Mi siedo e rifletto.
In cammino nella cerreta del bosco di Montauro immaginando
bivaccamenti fugaci da parte degli osannati ed eterni briganti o paladini
locali. Vi ritrovo anch’io riparo dalla calura apprezzando con gran sollievo
questo piccolo polmone verde lasciato germogliare e rifiorire.
San Bartolomeo in Galdo, sulla via del ritorno, si
erge compatta sul filo di un rasoio. Unica emozione nella piazza centrale.
Rimango affascinato da una vecchietta ricurva dal peso degli anni spesi tra
lavori rurali, agresti. Porta con se delle buste piene forse di giornaliero
raccolto. Ha delle scarpe grosse e tozze, procede con fatica. La seguo con lo
sguardo aspettando il momento giusto per scattarle una foto senza spaventarla,
senza farmi notare. Ed il momento è giusto quando si pone tra due lecci che
contornano la piazza. La vedo quindi salutare dei coetanei seduti in panca.
Subito dopo vado via, un po’ esausto, un po’ stanco. Parto, torno verso casa.Luoghi attraversati o visitati in ordine temporale: Lago di Occhito, Celenza Valfortore, Carlantino, Casalnuovo Monterotaro, Castelnuovo della Daunia, Pietramontecorvino,Biccari, Lago Pescara, Monte Cornacchia 1151 m., Roseto Valfortore, San Bartolomeo in Galdo
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